Conversazione su La prassi dell’impasticciamento nell’opera buffa e seria del Settecento
saluto di benvenuto di FABIANO MARTI, assessore alla cultura del Comune di Taranto
coordina EMANUELE SENICI, Università La Sapienza e King’s College London
NICOLA USULA, Université de Fribourg
TARCISIO BALBO, Conservatorio di Musica “Vecchi-Tonelli” di Modena
SARAH IACONO, Conservatorio di Musica “Arrigo Boito” di Parma
ELISA CAZZATO, Università Ca’ Foscari di Venezia e New York University
In questa giornata di studi quattro musicologi esporranno alcune delle loro più recenti ricerche sul ‘pasticcio’ e sulla natura metamorfica del melodramma. Nicola Usula tratterà del processo di “impasticciamento” subìto dal Demofoonte di Metastasio dopo la prima viennese del 1733 su musiche di Antonio Caldara: manipolato per la ripresa genovese al Teatro del Falcone musicata da Pietro Vincenzo Chiocchetti (1680-1753) il dramma cambiò quasi tutte le arie. Dalla lettura incrociata dei dati riguardanti le due versioni del dramma, le carriere dei cantanti che operarono a Genova, e l’analisi delle caratteristiche stilistico-drammatiche dei brani sostituiti rispetto agli originali si capiranno le ‘ragioni di un pasticcio’.
Tarcisio Balbo tra le carte di un corista di primo Ottocento – conservate nei fondi storici del conservatorio di Modena e relative all’allestimento del Ciro in Babilonia di Rossini a Modena nel 1818 come «oratorio sacro» – ha individuato la cavatina con coro di Baldassarre «Vieni o grande, vieni o forte», derivata da un’opera seria di Alessio Prati e più volte usata da diversi cantanti di rilievo attivi tra Sette e Ottocento. Nel ventaglio di trasformazioni, adattamenti e ‘impasticciamenti’ dei versi e delle intonazioni musicali la struttura formale varia dal semplice intervento corale all’aria bipartita, al duetto, fino alle anticipazioni della ‘solita forma’ ottocentesca.
Sarah Iacono si occuperà delle carte di musica che a Lecce i notabili della città iniziarono a raccogliere dopo la costruzione del teatro stabile nel 1759. Una spiccata attenzione fu riservata a Giovanni Paisiello: le sue opere, già presenti nelle prime stagioni del Teatro Nuovo leccese, sopravvivono nei fascicoli, manoscritti e a stampa, delle raccolte gentilizie salentine, che confluirono, all’indomani dell’Unità d’Italia, in primis nella biblioteca provinciale e, più recentemente, anche nella biblioteca del conservatorio. Le indicazioni paratestuali a circostanze di produzione e di fruizione insolite, che non trovano alcun collegamento comprovato con la vita musicale della città. La loro disamina, insieme con l’indagine sulle cronache e i documenti dell’epoca, ha permesso di focalizzare degli aspetti di controversa interpretazione che riguardano, ad esempio, la cronologia di alcune esecuzioni, e di delineare più chiaramente gli ambiti culturali in cui esse sono giunte sino a noi, in un tragitto che abbraccia Napoli e l’Europa.
Infine, l’intervento di Elisa Cazzato ripercorre la messa in scena di pasticci al Théâtre Feydeau di Parigi, inaugurato nel 1789 sotto la direzione artistica di Giambattista Viotti con l’intento di essere la sede parigina dell’opera buffa napoletana. Da Napoli non giunse solo il repertorio musicale, ma anche lo scenografo torinese Ignazio Degotti (1758-1824) che nel corso della sua carriera interagì a più riprese con Giovanni Paisiello, a Napoli e a Parigi. Documenti di archivio permettono di ricostruire la circolazione di modelli e artisti tra le due città, mentre cronache del tempo definirono gli spettacoli del Feydau come tra i più ricchi e fastosi della città.